Psicoterapia e Cultura: Umorismo, Sogni e Migrazioni
Come i sogni, l’umorismo e le esperienze migratorie influenzano identità, resilienza e benessere psicologico
L’umorismo ci sostiene nei momenti più difficili: ci ricorda che condividiamo vulnerabilità e difetti, e ci offre respiro invece che conflitto. A volte basta una risata per aprire lo spazio a una risposta nuova e più umana.

Umorismo e benessere
Conosco bene il potere dell’umorismo per il benessere. L’umorismo alleggerisce atmosfere pesanti — negli ospedali i clown aiutano a ridurre la sofferenza, mentre pratiche come la Laughter Yoga favoriscono il rilascio collettivo. È qualcosa che ci unisce come esseri umani: ci aiuta a gestire emozioni negative e vergogna, offrendo un cambio di prospettiva anche solo per un istante. Come ricordava Viktor Frankl in Uno psicologo nei lager, persino in un campo di concentramento l’umorismo aiutava lui e i suoi compagni a resistere all’annientamento. L’umorismo, nel suo lato migliore, è una medicina per la mente.
Ma questo non significa essere superficiali o ridere delle disgrazie altrui. Non vuol dire ignorare le chiamate morali all’azione o banalizzare le tragedie. Significa piuttosto coltivare un equilibrio — tra il peso del vivere e la leggerezza che siamo in grado di creare e condividere.
Come terapeuta, ho visto come un momento ben calibrato di umorismo possa dissolvere la vergogna, ridurre la paura e aprire la porta a nuove prospettive. La risata condivisa rafforza l’alleanza terapeutica, ricordando sia al paziente che al terapeuta la loro comune umanità. Per molti immigrati, l’umorismo diventa anche uno strumento di sopravvivenza — trasformando goffaggini, incomprensioni o esclusioni in racconti che curano invece di ferire.
Sono stata studiosa di umorismo fin dall’inizio dei miei studi. Da studentessa in Italia ho scritto una tesi su Tabarin (Summa cum Laude, 1993), un ciarlatano del Seicento che, insieme al suo compare Mondor, metteva in scena le cosiddette Questions, piccoli sketch in cui il mondo si rovesciava e regnavano la scatologia, la volgarità e la misoginia. Più tardi, come antropologa alla Columbia University, ho studiato l’umorismo al mercato del pesce di Cagliari, in Sardegna, durante una fase di radicale trasformazione sotto la pressione della globalizzazione. In quella comunità quasi interamente maschile, l’umorismo svolgeva una funzione psicologica e sociale: aiutava a modulare lo stress, mantenere o destabilizzare gerarchie, oliare i rapporti d’affari, persuadere, restituire dignità, rendere accettabile ciò che era “fuori posto” — illegale o inappropriato. Era, come molti studiosi lo hanno definito, sia un ’“arma dei deboli” sia un’“arma dell’anima”.
Certo, l’umorismo può anche essere tossico — annientante quando si trasforma in ridicolizzazione, microaggressioni o tentativi deliberati di distruggere qualcuno. Questo non è mai salutare. Ma in molti altri casi, l’umorismo è una forza potente che dobbiamo coltivare, per sostenere noi stessi e gli altri nel peso della vita. Nella mia filosofia della terapia, l’umorismo si affianca alla psicoanalisi, alla CBT, alla mindfulness e al coaching. Non è una fuga dalla tragedia dell’essere vivi, ma un compagno che rende quel peso più sopportabile.
Uno spiccato senso dell’umorismo può aiutare le persone a rimanere in piedi nei periodi di grande avversità. Io credo sinceramente che possa persino contribuire a salvare il mondo. L’umorismo ci offre, nei momenti più critici, un’alternativa: invece di reagire con un pugno o correre alle armi, possiamo elevarci, riconoscere ciò che ci accomuna e accettare le vulnerabilità e i difetti che tutti condividiamo.
Questo non significa lasciarsi umiliare o ignorare i problemi, ma creare uno spazio—anche solo un istante, il tempo di una risata o di un respiro—per trovare una risposta più consapevole e appropriata.
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Sogni e Psicoterapia
I sogni sono una via preziosa per conoscerci meglio. Non esistono dizionari universali di simboli: ogni sogno è unico e va compreso nel contesto della vita e della cultura del sognatore. Alcune tradizioni li vedono come messaggi degli antenati o del divino, altre come riflessi della vita quotidiana o materiale psicologico.
Nel mio lavoro, considero i sogni come comunicazioni delle parti meno conosciute di noi stessi. Aiutano a elaborare esperienze, collegare ricordi, far emergere verità difficili da riconoscere nella veglia.
Non riduco i sogni a enigmi o giochi di parole: li esploro insieme ai pazienti. Insieme possiamo:
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Analizzare i contenuti e le associazioni libere.
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Mettere il sogno in relazione con la storia personale e gli eventi recenti.
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Cercare metafore che rispecchiano conflitti interiori.
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Considerare ogni personaggio o immagine come parte del sé o della relazione terapeutica.
A volte possiamo anche “estendere il sogno”: immaginare un finale diverso a un incubo doloroso, riducendo la paura e recuperando senso di controllo.
Dai tempi di Freud — che li definiva “la via regia all’inconscio” — fino alle prospettive più contemporanee, i sogni restano uno strumento potente di consapevolezza e trasformazione. Ci permettono di pensare in modi nuovi, di provare possibilità in sicurezza e di liberarci dall’automatismo della vita quotidiana.
Se vuoi esplorare il significato dei tuoi sogni, puoi prenotare una sessione di analisi onirica nei miei studi a New York, New Jersey o Vermont.
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Migrazioni
La mia pratica di psicoterapia interculturale a New York si rivolge a chi vive esperienze migratorie e di adattamento tra culture. Accolgo immigrati, expat, studenti internazionali, temporary workers, professionisti e diplomatici che affrontano cambiamenti complessi a livello personale, relazionale e lavorativo.
Conosco bene le sfide di chi lavora in carriere internazionali o diplomatiche, dove frequenti trasferimenti comportano instabilità e la necessità di continui adattamenti. Allo stesso modo, supporto executive e professionisti che, pur avendo carriere di successo, sentono il peso della distanza, della pressione e della mancanza di radici stabili.
Conosco bene le sfide di chi è stato costretto a partire in condizioni difficili, affrontando precarietà economica e adattamento culturale. So quanto sia pesante il percorso dei figli di immigrati, che spesso portano sulle proprie spalle non solo il desiderio di successo dei genitori, ma anche il trauma della loro migrazione. Vedo studenti immigrati che faticano a sentirsi parte di un nuovo contesto e che non hanno ancora gli strumenti emotivi e accademici per esprimere il loro potenziale. Attraverso la psicoterapia interculturale aiuto queste persone a sviluppare resilienza, integrare le loro identità e costruire un senso di appartenenza, senza perdere le radici che li hanno formati.
Ogni percorso migratorio è unico: ci sono persone con molte risorse e altre che si trovano in condizioni più fragili. Per questo motivo dedico parte del mio tempo anche a chi ha minori possibilità economiche, così che il sostegno psicologico resti accessibile.
Il mio approccio integra psicoanalisi, terapia cognitivo-comportamentale (CBT), mindfulness, coaching e prospettiva antropologica. Questo permette di offrire strumenti concreti, profondità di analisi e sensibilità culturale per affrontare ansia, depressione, lutto migratorio, conflitti intergenerazionali e difficoltà di adattamento.
Il mio obiettivo è creare uno spazio accogliente e sicuro in cui immigrati, seconde generazioni, expat, diplomatici e professionisti possano coltivare resilienza, trovare equilibrio e costruire appartenenza, trasformando le sfide della migrazione in occasioni di crescita e benessere. Lavoro spesso anche con i partner che accompagnano chi ha trovato un’opportunità di lavoro in America e che, a loro volta, hanno bisogno di ambientarsi e di costruire la propria strada. Inoltre, mi occupo di famiglie italiane, in particolare di quelle impegnate in business familiari: oltre alle questioni intergenerazionali, queste famiglie si trovano spesso a vivere tra due mondi e due culture. In questi casi comunico non solo con l’individuo, ma anche con l’intero nucleo familiare, per favorire dialogo, comprensione reciproca e coesione.
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"Lavorare con te Leide ha fatto davvero la differenza. Ero scoraggiato e mi mancava la famiglia. Non riuscivo a prepararmi per classe e avevo paura di avere il panico. Adesso posso dire con soddisfazione di avere concluso il mio Master e non so ancora come andrà a finire questa avventura americana e se riuscirò a trovare un lavoro e avere il visto, ma mi sento molto più pronto ad affrontare le prossime sfide."
F. C.